Persone per bene

Lui è Rocco Gatto

6 anni fa
Lui è Rocco Gatto

Il mugnaio eroe che ha detto no alla mafia.

Nato nel 1926, Rocco lavora da quando è poco più di un bambino. Primo di quindici figli, aiuta papà Pasquale in un mulino di Gioiosa Ionica, nella Locride. Anni di gavetta e sacrifici, ma nel 1964 corona il suo sogno. Da semplice garzone diventa proprietario del mulino. Un traguardo che gli consente di dare un futuro alla sua famiglia, ma al tempo stesso l'inizio di un incubo. Da neo-imprenditore, infatti, Rocco viene immediatamente avvicinato dalla cosca locale, gli Ursini. L'obiettivo della 'ndrina è presto chiaro: il pizzo, a lui come ad ogni titolare di un'attività in zona.

Però Rocco è diverso. Rocco ha preso il carattere fiero e orgoglioso del padre. Quel mulino gli è costato una vita di sudore. Per quella libertà si è spezzato la schiena. Inconcepibile per lui piegarsi al volere di un boss. Iniziano le minacce, i furti, gli incendi. Nel 1974 la morsa del clan diventa più stringente. Il boss in persona, Luigi Ursini, e il suo gregario, Mario Simonetta, si presentano più volte al mulino. Ma Rocco resiste.

La situazione precipita il 6 novembre dello stesso anno. Il reggente del Clan, Vincenzo Ursini, viene ucciso in un conflitto a fuoco. Secondo la cosca il responsabile è il capitano Gennaro Niglio, un carabiniere “vecchie maniere” che da solo da tempo aveva ingaggiato una lotta armata alla mafia. La reazione del clan è immediata e potente. E' necessario dare un segnale forte. Viene dapprima imposto un coprifuoco, poi, una domenica di mercato, gli ndranghetisti, armati e piazzati alle porte di Gioiosa, fermano i commercianti e i visitatori venuti da tutta la provincia per rimandarli indietro. La città è blindata. Ordinano la chiusura dei negozi e impongono il lutto cittadino in onore al capocosca ucciso. Il capitano Niglio interviene, prova a riportare l'ordine ma è da solo e per richiamare l'attenzione delle istituzioni c'è bisogno di una denuncia. Di un atto di coraggio. Ma di parlare nessuno ha voglia.

Nessuno tranne Rocco. Il mugnaio decide di fare i nomi, li fa in questura al capitano Miglio e li ripete di fronte al giudice istruttore. Sa a cosa va incontro, ma decide di firmare quel verbale. E con esso la sua condanna a morte. Decide di fare quel che nessuno ha mai osato. Perchè? Perché è stanco di vedere un paese inginocchiato alla criminalità organizzata. Perché è suo dovere civile. Perché è giusto così.

Passano pochi giorni, è il 12 marzo del 1977. Rocco è alla guida del suo furgone, come ogni giorno fa il giro per raccogliere i sacchi di grano da macinare. Sono le 6.30 del mattino quando scatta l'agguato. Rocco viene raggiunto da tre colpi di lupara. Per lui non c'è niente da fare.

Rocco morì su quella strada provinciale. Morì per come aveva vissuto. E quindi non è mai morto veramente. Il suo gesto, infatti, segnò nel profondo la comunità di Gioiosa. La gente trovò la forza di reagire, di scendere in piazza guidata da Pasquale Gatto, anziano padre di Rocco che divenne il condottiero di questa guerra alla ‘ndrangheta. Fino ad arrivare nel 1982 di fronte all'allora presidente della Repubblica Sandro Pertini, il quale giunse in Calabria per consegnare la medaglia d’Oro al Valor Civile alla memoria di Rocco.

Pasquale Gatto portò avanti la sua battaglia fino al suo ultimo istante. Nonostante le minacce, culminate con la profanazione della tomba del figlio, ottenne le condanne per i responsabili, seppur non ritenute adeguate.

Oggi a Gioiosa, in piazza Vittorio Veneto, c'è un murale in ricordo di Rocco. A 41 anni di distanza il suo coraggio vive ancora nei cuori di chi, grazie al suo esempio, ha la forza di dire no alla mafia.

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